Report del Congresso AIDAP 2018

A cura di: Selvaggia Sermattei – AIDAP Firenze e Empoli

Si è svolto a Garda, il 10 novembre scorso, il 19esimo Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso (AIDAP) preceduto, come di consueto, da una giornata di workshop. L’evento ha visto la partecipazione di due ospiti internazionali: Graham Finlayson, leader nella ricerca sulla psicobiologica dell’appetito, e Rachel Bryant-Waugh, massima esperta mondiale del Disturbo Evitante Restrittivo dell’Assunzione di Cibo (ARFID).

 

 

Questi infatti i temi trattati ed approfonditi quest’anno.

L’apertura del workshop della prima giornata è stata affidata al prof. Finlayson dell’Università di Leeds, che durante la mattinata, ha illustrato, nel modo più chiaro possibile, data la complessità dell’argomento, il concetto di appetito (inteso come spinta a mangiare) in relazione all’integrazione delle due vie che sembrano regolarne il controllo: la via omeostatica e la via edonica. Per quanto riguarda la prima, il prof. Finlayson ha sottolineato il ruolo di due ormoni chiave, insulina e leptina, prodotti in relazione alla quantità di grasso corporeo con un’azione inibitoria sull’introito energetico. Questa relazione tuttavia, risulta essere asimmetrica in quanto un’elevata quantità di questi ormoni causa down-regolazione e resistenza, che sembra spiegare la maggiore spinta a mangiare nei soggetti con obesità. Ma, i più recenti dati che stanno emergendo dalle ricerche del gruppo di Leeds indicano che questo classico modello adipocentrico sia da rivedere alla luce dell’emergente e importante ruolo mediatore del rapporto fra massa magra e tasso metabolico a riposo.

 

 

Per quanto riguarda la via edonica, sono state distinte due diverse variabili: una esplicita, il “liking”, intenso come piacere per il cibo e l’altra, più implicita, il “wanting” inteso come desiderio di mangiare, che implica aspetti motivazionali. Il gruppo di Leeds ha messo a punto un questionario, il Leeds Food Preference Questionnaire, per valutare queste due componenti nell’ottica di poter identificare differenze individuali nella spinta a mangiare in eccesso e all’obesità. I dati ad oggi, indicano che, a parità di peso, i soggetti con perdite di controllo sull’alimentazione hanno un maggiore “liking” per cibi ricchi di grassi e dolci e un “wanting” che tende ad aumentare dopo il pasto, contrariamente a quanto registrato per i soggetti senza perdite di controllo. Inoltre, i soggetti con obesità sembrano avere un controllo più debole sull’appetito e sul controllo degli stimoli alimentari, e il prof. Finlayson ha sottolineato che questi dati suggeriscono che siano da privilegiare interventi terapeutici mirati all’interruzione di certe abitudini alimentari.

Il pomeriggio dello stesso giorno è stato dedicato all’ARFID, una categoria diagnostica introdotta con il DSM-5, grazie al lavoro della prof.ssa Bryant-Waugh. Il suo workshop ha mirato a fornire un’accurata spiegazione dei criteri diagnostici e dei diversi profili di ARFID, caratterizzati da apparente mancanza d’interesse per l’alimentazione, evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo e preoccupazione relativa alle conseguenze negative del mangiare. La prof.ssa ha illustrato come, ad oggi, l’ARFID rappresenti una categoria “ombrello” che racchiude, cioè, manifestazioni cliniche diverse che sottendono a diverse psicopatologie e quindi probabilmente necessitano di interventi terapeutici differenti. Per questo motivo, risulta molto importante fare un buon assessment che possa aiutare i clinici a comprendere a fondo la manifestazione del problema e il suo impatto sulla qualità di vita e sul funzionamento familiare del paziente.

 

 

La giornata si è conclusa con molte domande da parte dei partecipanti, curiosi di conoscere le caratteristiche di un disturbo ancora poco conosciuto, soprattutto nei soggetti adolescenti e adulti.

La giornata del sabato, nel classico stile “congresso”, ha visto susseguirsi diversi relatori che hanno dato importanti spunti di riflessione portando esperienze cliniche e aggiornamenti della ricerca. La dott.ssa Morandi, medico pediatra dell’Università degli Studi di Verona ha aperto i lavori della prima sessione dal titolo “La gestione dell’obesità basata sulla modificazione dello stile di vita nelle diverse fasce d’età” sottolineando come in età evolutiva l’intervento deve porre grande attenzione al coinvolgimento della famiglia per il miglioramento di alcune abitudini relative all’alimentazione e all’esercizio fisico, mentre in età adulta, come illustrato dal dott. Dalle Grave, medico responsabile del dipartimento dei disturbi dell’alimentazione e dell’obesità della Casa di Cura Villa Garda, la più moderna CBT per l’obesità (la CBT-OB, messa a punto dal suo gruppo sulla base dei dati della ricerca) pone maggiore attenzione ai processi cognitivi implicati nella perdita e nel mantenimento del peso a lungo termine.

Il prof. Zamboni, medico direttore del dipartimento di geriatria dell’Università degli Studi di Verona invece ha portato il suo contributo rispetto all’importanza, nei soggetti anziani con obesità, di un’accurata valutazione dei diversi fenotipi che si distinguono sulla base di eventuali comorbilità associate, storia del peso e livello di fitness. A seguire il dott. Soave, fisioterapista della Casa di Cura Villa Garda ha sottolineato l’importante ruolo della fitness nella riabilitazione fisica dell’obesità sarcopenica, commentando la recente evidenza scientifica a favore del miglioramento della fitness fisica che sembra potenziato da tipologie combinate di esercizi di tipo aerobico e contro-resistenza.

La mattinata ha proseguito con la seconda sessione dedicata a “Food addiction e terapia farmacologica dell’obesità” nella quale il prof Finlayson ha approfondito il concetto di food-addiction, spiegando come nonostante questo sia molto diffuso ed abbia stimolato una grande mole di ricerche e discussioni, sia in realtà privo di solide basi scientifiche tanto che i dati disponibili sono insufficienti per considerarlo un concetto di utilità clinica. Questo tema è stato ripreso dal dott. Sartirana, psicologo, Centro AIDAP di Verona, che nel suo intervento, ha illustrato la prospettiva cognitivo comportamentale sull’alimentazione edonica mostrando come l’adozione di un modello basato sulla dipendenza contraddica i trattamenti attualmente più efficaci sugli episodi di perdita di controllo e rischi di stigmatizzare i pazienti che ne soffrono allontanandoli da terapie evidence-based. A seguire, il prof. Nisoli dell’Università degli Studi di Milano ha fatto una panoramica sulle recenti evidenze della terapia farmacologica dell’obesità.

 

 

 

 

Dopo un pranzo ristoratore, nella splendida cornice del lago di Garda, i lavori del pomeriggio sono ripresi con la terza ed ultima sessione: “Il disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID): tra dubbi e verità”. La prof.ssa Bryant-Waugh ha presentato lo stato corrente della ricerca sull’ARFID spiegando le evidenze per introdurre l’ARFID come categoria diagnostica nei disturbi dell’alimentazione e della nutrizione del DSM-5, la sua fenomenologia, l’eziologia, l’epidemiologia e alcuni cenni al trattamento. Il tema del trattamento è stato poi ripreso dalla dott.ssa Calugi, psicologa, Centri AIDAP di Empoli e Firenze, che ha illustrato l’unico modello di terapia cognitivo comportamentale ad oggi presente, il modello tridimensionale della neurobiologia dell’ARFID, sulla base del quale è stata proposta la CBT-AR che però presenta molti limiti, tra cui l’ipotesi biologica in un modello cognitivo comportamentale, l’assenza di una psicopatologia specifica e l’eccessivo lavoro sulla componente comportamentale. A partire da queste debolezze la dott.ssa Calugi ha proposto un adattamento della terapia cognitivo comportamentale migliorata per i disturbi dell’alimentazione (CBT-E) all’ARFID esponendo ipotesi alternative dei meccanismi di mantenimento, nell’adolescente e nell’adulto sottopeso, basate sulla psicopatologia e supponendo una struttura della terapia che ricalca i passi della CBT-E. Queste Ipotesi hanno dato ai presenti una prospettiva verso futuri interventi, ma la dott.ssa Calugi ha ricordato che ad oggi, nessun modello terapeutico cognitivo comportamentale per l’ARFID ha evidenza scientifica o è stato testato dalla ricerca clinica ed è ancora molto il lavoro da fare.

Gli ultimi interventi sono stati a cura di figure mediche che spesso si trovano a dover trattare pazienti con ARFID. Il dott. Banderali, pediatra della Clinica Pediatrica dell’Ospedale San Paolo di Milano, ha sottolineato come la creazione di questa nuova categoria diagnostica ha permesso ai clinici di dare un nome alla diagnosi di molti pazienti che prima si faceva fatica a categorizzare e quindi ad indirizzarli verso trattamenti adeguati. Il dott. Benini, gastroenterologo dell’Università degli Studi di Verona, ha illustrato le similitudini fra la sintomatologia presentata dai pazienti con ARFID e la dispepsia funzionale. A seguire, il dott. Senna, allergologo del Policlinico di Verona, ha evidenziato come spesso i pazienti che si presentano alla sua attenzione si siano già fatti un’autodiagnosi di intolleranza alimentare, magari sostenuta da qualche test privo di validità scientifica ed abbiano già provveduto ad eliminare una serie di alimenti. Purtroppo, la percezione, di un momentaneo senso di benessere, porta il paziente a confermare la validità della sua ipotesi di intolleranza. Il dott. Senna ha chiaramente sottolineato che, come professionisti della salute, qualsiasi indicazione nutrizionale che colluda con la preoccupazione del paziente e incrementi la psicopatologia è da evitare. In definitiva, riconoscere la natura psicologica dell’ARFID significa riuscire a migliorare l’intervento terapeutico per questi pazienti, in cui i vari professionisti possano parlare un linguaggio comune.

Il congresso si è chiuso con la tavola rotonda finale in cui i vari relatori hanno condiviso la necessità di collaborare verso la diffusione di una cultura scientifica che contrasti le informazioni illusorie e false dell’industria della dieta. Messaggio che da sempre rappresenta la mission di AIDAP, che anche quest’anno è riuscita a realizzare un congresso di grande interesse scientifico e clinico, con soddisfazione di tutti i presenti.

 

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