Digiuno e rischio di disturbi dell’alimentazione: uno stretto e pericoloso legame

A cura di Riccardo Dalle Grave

Negli ultimi anni i media (libri, siti web e riviste) e alcuni clinici hanno promosso con sempre maggiore frequenza il digiuno come pratica “salutare” per perdere peso, detossificarsi, ridurre il rischio di malattia e aumentare l’aspettativa di vita. Questa pratica, la cui efficacia non è supporta da studi “clinici” randomizzati e controllati a medio-lungo termine, in alcune persone sembra aumentare il rischio di sviluppare alterazioni del comportamento alimentare di gravità clinica.

Gli studi disponibili sugli effetti del digiuno intermittente (periodi di digiuno alternati a periodi di non digiuno) sul comportamento alimentare hanno fornito risultati contrastanti. Due studi hanno trovato che negli individui con disturbi dell’alimentazione si verifica un incremento significativo dell’introito di cibo dopo 6 e 14 ore di digiuno (Agras & Telch, 1998; Telch & Agras, 1996), un dato però non osservato da un altro studio (Hetherington et al, 2000). Al contrario, due studi su soggetti sani non hanno osservato un impatto negativo di un breve periodo di digiuno sul comportamento alimentare dei partecipanti (Johnstone et al., 2002; Levitsky & DeRosimo, 2010). Infine, uno studio longitudinale di 5 anni ha trovato che il digiuno riportato è un predittore della patologia alimentare e delle abbuffate ricorrenti (Stice et al. 2008).

Per spiegare l’incremento dell’introito di cibo conseguente alle fasi di digiuno sono stati proposti tre meccanismi principali che possono agire in modo sinergico:

  1. Biologico. Il digiuno e le diete fortemente ipocaloriche determinano la deplezione di triptofano, un precursore della serotonina, la quale, alterando i segnali di fame e sazietà, favorisce le  abbuffate che a loro volta ripristinano i normali livelli di  triptofano e di serotonina (Kaye, Gendall, & Strober, 1998).
  2. Cognitivo. L’adozione di regole dietetiche estreme e rigide favorisce le abbuffate attraverso il meccanismo della disinibizione cognitiva. Infatti è molto probabile rompere le regole dietetiche se sono “estreme”, perché sono tante in numero e richiedono una continua vigilanza per essere seguite, e abbandonare completamente il controllo dell’alimentazione  (disinibizione cognitiva)  (Polivy, 1996) se sono  sono “rigide” con una tipica “reazione tutto o nulla”(es. “Ho trasgredito la dieta, tanto vale che mo abbuffi”).
  3. Attentivo. Il digiuno e le diete fortemente ipocaloriche determinano lo sviluppo di bias attentivi nei confronti dei cibi ricchi di calorie, rispetto a quelli poveri di calorie, che facilitano l’assunzione di un’alimentazione ipercalorica  (Placanica, Faunce, & Soames Job, 2002).

L’osservazione che in alcune persone il digiuno intermittente non sembra avere un effetto negativo sul comportamento alimentare indica che delle “terze” variabili possano influenzare la risposta dell’individuo ai periodi di restrizione calorica estrema. A questo proposito è stato trovato che la pratica del digiuno aumenta il rischio di abbuffate e patologia alimentare soprattutto negli adolescenti di sesso femminile (Stice et al, 2008), nelle persone con immagine corporea negativa (Schaumberg & Anderson, 2014)  e in quelle con elevati livelli di disinibizione cognitiva basale, mentre non sembra avere effetti negativi quando è adottato per  motivi spirituali o religiosi (Schaumberg et al, 2015).

L’associazione tra digiuno ed adozione di pratiche dietetiche estreme e rigide con lo sviluppo di alterazioni del comportamento alimentare di gravità clinica indica la necessità e l’urgenza di implementare interventi preventivi per ridurre l’incidenza dell’adozione della dieta ferrea nella popolazione in generale e negli individui più vulnerabili a sviluppare conseguenze negative in particolare, come gli adolescenti di sesso femminile e le persone con immagine corporea negativa o con elevati livelli di disinibizione cognitiva.  Data la natura ubiquitaria delle informazioni scorrette sulla dieta e della pubblicità sulle pratiche dietetiche estreme, gli interventi di prevenzione dovrebbero, tra le altre cose, anche educare i consumatori a sviluppare attitudini critiche nei confronti di questi messaggi e incoraggiarli ad adottare uno stile di vita salutare alternativo alla dieta ferrea. Infine, le società scientifiche e i consumatori dovrebbero fare pressione sui politici affinché  sviluppino dei regolamenti specifici per gestire le false e ingannevoli promesse dell’industria della dieta.

 

Bibliografia

Agras, W.S., & Telch, C.F. (1998). The effects of caloric deprivation and negative affect on binge eating in obese binge-eating disordered women. Behavior Therapy, 29, 491–503. http://dx.doi.org/10.1016/S0005-7894(98)80045-2.

Hetherington, M.M., Stoner, S.A., Andersen, A.E., & Rolls, B.J. (2000). Effects of acute food deprivation on eating behavior in eating disorders. International Journal of Eating Disorders, 28, 272–283. doi: 10.1002/1098-108X(200011)28:3<272:AID-EAT4>3.0.CO;2-Q

Johnstone, A.M., Faber, P., Gibney, E.R., Elia, M., Horgan, G., Golden, B.E., & Stubbs, R.J. (2002). Effect of an acute fast on energy compensation and feeding behaviour in lean men and women. International Journal of Obesity and Related Metabolic Disorders, 26, 1623–1628. http://dx.doi.org/10.1038/sj.ijo.0802151.

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Stice, E., Davis, K., Miller, N.P., & Marti, C.N. (2008). Fasting increases risk for onset of binge eating and bulimic pathology: A 5-year prospective study. Journal of Abnormal Psychology, 117, 941–946. http://dx.doi.org/10.1037/a0013644.

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