Consumo di acidi grassi trans e impatto sulla salute nelle diverse classi sociali: come intervenire?

A cura di: Emanuala Ferrara, Dietista AIDAP – Verona

La discussione sui grassi nella dieta e sul loro impatto sulla salute domina da lungo tempo il campo scientifico, ed è attualmente accesa più che mai e aperta a cambiamenti importanti nelle linee guida e nelle politiche alimentari in diversi Paesi.

Se molti sono ancora i dubbi sul ruolo degli acidi grassi saturi, mono e polinsaturi nell’aumentare o nel ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, la comunità scientifica ha solo certezze riguardo agli effetti negativi dell’assunzione degli acidigrassi trans.

Le principali fonti di questi nutrienti sono i grassi parzialmente idrogenati, utilizzati da numerosi settori dell’industria alimentare per aumentare la conservabilità e la palatabilità dei cibi.

Il Professor Veerman dell’Università del Queensland sostieneche il divieto totale dell’utilizzo degli acidi grassi trans, sarebbe la scelta migliore per salvaguardare la salute pubblica. Per spiegare il suo punto di vista l’autore cita due importanti lavori,sottolineando le numerose evidenze dell’effettonegativo di tali grassi e analizzando diverse soluzioni concrete per ridurne il consumo ed avere un effetto benefico egualitario ed omogeneonelle diverse classi sociali (1).

Nel primo lavoro citato, De Souza e colleghi hanno esaminato l’associazione tra il consumo di grassi saturi e grassi trans con diversi outcome cardiovascolari e diabete di tipo 2. Si tratta di una revisione sistematica e meta-analisi di studi di coortedalla quale emerge che il consumo frequente di grassi trans aumenta non solo la mortalità per tutte le cause, ma anche l’incidenza e la mortalità per malattia coronarica (2).Lo studio,come altri studi precedenti, conferma che il consumo di grassi trans industriali èdannoso per la salute(3).

Nel secondo lavoro, Allen e colleghihanno trovato che il consumo di acidi grassi trans e la mortalità per malattia coronarica sono più elevati nei gruppi di popolazione più svantaggiati dal punto di vista socio-economico (4). Studiando alcuni modelli, gli autori hanno quindivalutato gli effetti di diversi interventi di prevenzione,alla ricerca di una soluzione capace di ridurre le disuguaglianze in termini di mortalità per malattia coronaricain tutti i gruppi socio-economicidella popolazione inglese.L’obiettivo è quello di trovare la strategia capace di fare prevenzione primaria in tutta la popolazione, con un rapporto vantaggioso tra costi e benefici,in termini prettamente economici sia per lo Stato si per l’industria. Nel lavoro vengono presentatetre possibili strategie:(i) la completa eliminazione dei grassi trans nei cibi industriali;(ii) l’obbligo di segnalarli nelle etichette, in modo da favorire la scelta volontaria dei consumatori ad evitare gli alimenti che li contengono; (iii) il divieto di utilizzarli nella ristorazione collettiva.Gli autori hanno concluso che tutti e tre gli interventi sarebbero efficaci nel ridurre l’incidenza e la mortalità per malattia coronarica e che la riduzione dei costi sanitari e sociali coprirebbe i costi che dovrebbero essere sostenuti per la riformulazione ed il controllo dei nuovi prodotti.

Il divieto totale dell’utilizzo dei grassi trans sembrerebbe però la scelta che ridurrebbe al massimo la mortalità rispetto alle altre due soluzioni, con minore differenza nella varie classi sociali.Sarebbe dunque questo l’intervento ottimale per il miglioramento della salute pubblica, essendo economicamente vantaggioso, equo e “morale”, perché capace di arrivare a tutta la popolazione. Questa strategia è stata già adottata dallaDanimarca con buoni risultati,che ha imposto alle industrie il limite massimo di 2 g di acidi grassi trans per 100 g di ingredienti,il che si traduce nell’assenza quasi totale sul prodotto finito (5). Altri paesi europei si stanno muovendo in questa direzione, insieme agliUSA, doveè obbligatorio indicare la loro presenza in etichetta. Tuttavia questi interventi avranno sempre un effetto limitato, se ragioniamonell’ottica del mercato globale in cui viviamo.

In Italia, per esempio, la situazione è ancora ferma. Secondo il Regolamento europeo sull’Informazione Alimentare ai consumatori(1169/2011),attualmente in vigore, è obbligatorio specificare nella lista degli ingredienti il tipo di oli e grassi vegetali presenti, ma non inserire gli acidi grassi transin etichetta, neanche su base volontaria. Tale decisione pare giustificata dall’assenza di dati certi sull’entità del consumo effettivo dei grassi trans da parte della popolazione europea, oltre che dalla difficoltà di definire se anche gli acidi grassi trans di origine animale (prevalentemente da derivati dei ruminanti, come il latte) siano nocivi quanto quelli che provengono dagli olii vegetali industriali, parzialmente o totalmente idrogenati. Dopo circa tre anni di studio e valutazione, sarà presentato a breve dalla stessa Commissione un rapporto sull’opportunità di modificare le tabelle nutrizionali e la conseguente proposta legislativa che potrebbe sancire l’inizio di una battagliaconcreta per l’eliminazione degli acidi grassi trans dalla catena alimentare (6).

Bibliografia

  1. Veerman JL. Dietary fats, health, and inequalities. BMJ. 2015; 15;351:h4671.
  2. De Souza RJ.et al. Intake of saturated and trans unsaturated fatty acids and risk of all cause mortality, cardiovascular disease, and type 2 diabetes: systematic review an meta-analysis of observational studies. BMJ. 2015 Aug 11;351:h3978.
  3. MozaffarianD. et al.Trans fatty acids and cardiovascular disease. N Engl J Med. 2006;354:1601-13.
  4. Allen K. et al. Potential of trans fatty policies to reduce socioeconomic inequalities in mortality from coronary heart disease in England: cost effectiveness modeling study. BMJ. 2015;351:h4583.
  5. Leth T. et al. The effect of the regulation on trans fatty acid content in Danish food. Atherosclerosis Suppl.2006;7:53-6.
  6. Coldiretti. http://www.sicurezzaalimentare.it