Programmi di prevenzione dei disturbi dell’alimentazione basati sulla dissonanza cognitiva in giovani donne con preoccupazioni per l’immagine corporea: uno studio sperimentale
A cura di: Alice Nannini AIDAP Empoli/Firenze
Gli studi di efficacia e di efficacia reale indicano che l’adozione di un programma di prevenzione basato sulla dissonanza cognitiva riduce i fattori di rischio dei disturbi dell’alimentazione (quali internalizzazione dell’ideale di magrezza, insoddisfazione corporea, restrizione dietetica, affettività negativa), i sintomi specifici, il danno funzionale e il rischio di un futuro esordio di tali disturbi. Alcuni di questi effetti positivi si mantengono anche al follow-up di 3 anni.
Gli interventi di dissonanza cognitiva prevedono di coinvolgere giovani donne con preoccupazioni per l’immagine corporea in esercizi verbali, scritti e comportamentali nei quali è richiesto di criticare l’ideale di magrezza. Questo tipo di attività sembra in grado di produrre un certo disagio psicologico (dissonanza cognitiva) che motiva i partecipanti a ridurre l’adesione all’ideale di magrezza e ciò a sua volta conduce ad un decremento nei livelli di insoddisfazione corporea, restrizione dietetica, stati d’animo negativi e sintomi dei disturbi dell’alimentazione.
Nonostante questi programmi di prevenzione dei disturbi dell’alimentazione siano evidence-based, è di fondamentale importanza investigare i mediatori e i meccanismi ipotizzati alla base di questi effetti per consentire di perfezionare ulteriormente tali interventi. Il presente studio si è perciò proposto di analizzare i suddetti meccanismi e di provare a superare alcuni limiti individuati in precedenti ricerche.
Il campione era formato da 124 studentesse universitarie, di età compresa tra i 18 e i 50 anni, che erano state reclutate tramite email e volantini per partecipare ad uno studio che valutava interventi di accettazione del proprio corpo. Le studentesse che rispondevano in modo affermativo alla domanda “Hai preoccupazioni relative all’immagine corporea?” erano incluse nel campione. 44 partecipanti sono state assegnate in maniera casuale all’intervento di alta dissonanza cognitiva, 39 a quello di bassa dissonanza cognitiva e 41 al gruppo di controllo in lista d’attesa. Entrambi gli interventi consistevano in sessioni di gruppo a cadenza settimanale (della durata di un’ora) ed esercizi a casa. Sono state effettuate valutazioni al pre-test, al post-test e a 3 mesi di follow up.
Per quanto riguarda la condizione di alta dissonanza cognitiva, prima di ciascuna sessione si ricordava che la partecipazione era su base volontaria, si forniva l’opzione di poter leggere da soli quanto discusso durante le sessioni e si specificava che i compiti a casa non erano necessari. La responsabilità delle partecipanti era incrementata con la videoregistrazione delle sessioni, inoltre si richiedeva di segnare il nome su ciascuna scheda dei compiti da svolgere e di firmare prima di consegnare tutto al mediatore del gruppo. Non si comunicava alle partecipanti che quanto condiviso all’interno del gruppo era confidenziale. Il livello di impegno era aumentato tramite l’assegnazione di compiti più difficili da svolgere e con l’invito ad una maggior partecipazione verbale durante le sessioni. Nella condizione di bassa dissonanza cognitiva, si spiegava alle studentesse che durante le sessioni era prevista la partecipazione verbale, e non era concessa l’opzione di leggere in modo autonomo anziché completare le sessioni per intero. Il grado di sforzo e di impegno era ridotto con l’assegnazione di compiti più facili e con il decremento della possibilità di partecipazione verbale nelle discussioni. Le sessioni non erano videoregistrate. Alle partecipanti si spiegava che i commenti dei membri del gruppo erano confidenziali, erano concesse solo poche opportunità di esprimere le proprie opinioni e non era necessario firmare o consegnare i compiti.
I risultati ottenuti indicano che le partecipanti assegnate all’intervento di alta dissonanza cognitiva hanno mostrato una maggior riduzione nei livelli di internalizzazione dell’ideale di magrezza, insoddisfazione corporea, restrizione dietetica e caratteristiche cliniche del disturbo dell’alimentazione rispetto al gruppo di controllo, dal pre-test al post-test. Tutti gli effetti, tranne quelli relativi alla psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, si sono mantenuti al follow-up di 3 mesi. Invece, le partecipanti nella condizione di bassa dissonanza cognitiva hanno avuto un maggior decremento nei livelli di internalizzazione dell’ideale di magrezza, insoddisfazione corporea e restrizione dietetica in confronto al gruppo di controllo. Tali effetti, tranne l’insoddisfazione corporea, persistevano al follow-up di 3 mesi. Le partecipanti con alta dissonanza cognitiva, rispetto a quelle con bassa dissonanza, hanno manifestato una significativa riduzione soltanto nella psicopatologia del disturbo dell’alimentazione ma gli effetti non si mantenevano al follow-up di 3 mesi.
Sebbene i risultati dimostrino che l’induzione della dissonanza cognitiva contribuisce agli effetti dell’intervento, sembra altresì che il contenuto generale del programma (es. gli esercizi di accettazione corporea, la revisione del costo del raggiungimento dell’ideale di magrezza), fattori non specifici (es. istillare speranza, aspettative, supporto gruppale) e caratteristiche inerenti al programma di prevenzione incidano su tali effetti.
Occorre evidenziare alcune limitazioni di questo studio: l’intervento di alta dissonanza cognitiva differisce da quello di bassa dissonanza per vari aspetti, e ciò non permette di inferire che le differenze riscontrate negli esiti tra le due condizioni siano pienamente attribuibili alla maggior induzione di dissonanza. Inoltre, non è stata introdotta una misura diretta della dissonanza cognitiva (discomfort psicologico) e quindi non è possibile desumere che un maggior grado di dissonanza conduca ad effetti differenti nel confronto tra le due condizioni di alta vs bassa dissonanza cognitiva (difatti l’induzione della dissonanza è tipicamente dedotta da un cambiamento attitudinale nei partecipanti agli esperimenti). Le scale utilizzate in questa ricerca erano relativamente brevi e con limitata validità di contenuto. Infine, la numerosità del campione era ridotta.
Gli autori concludono sottolineando che potrebbe essere utile incorporare elementi di induzione di dissonanza cognitiva tratti dall’intervento di alta dissonanza al fine di creare programmi di prevenzione dei disturbi dell’alimentazione di seconda generazione, cioè, “potenziati”. In futuro sarebbe auspicabile anche indagare quali sono le componenti specifiche del programma di prevenzione basato sulla dissonanza cognitiva (ad es. scrittura di saggi controattitudinali) maggiormente efficaci che determinano gli effetti dell’intervento.
Tratto da: McMillan, W., Stice, E., & Rohde, P. (2011). High- and low-level dissonance-based eating disorder prevention programs with young women with body image concerns: An experimental trial. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 79, 129–134. doi:10.1037/a0022143.