L’esercizio fisico fa perdere peso? Nuove prospettive sulla natura dell’esercizio fisico alla luce delle nuove evidenze sulla compensazione energetica e sul modello vincolato di bilancio energetico

Fabio Soave

Unità di Riabilitazione Nutrizionale – Casa di Cura Villa Garda

Le iniziative di salute pubblica per promuovere la perdita di peso spesso includono la prescrizione di aumentare i livelli di attività fisica al fine di incrementare il dispendio energetico (1), dando per scontato che la spesa energetica dell’attività si sommi ai costi basali (2). Questa visione del bilancio energetico (chiamato “modello additivo”), in cui il dispendio energetico del movimento e quello a riposo sono considerati fattori indipendenti che si sommano tra loro determinando la spesa energetica totale, viene utilizzata nella pratica clinica in modo estensivo, ma secondo alcuni autori non deve essere data del tutto per scontata (3).

Utilizzare il modello additivo presenta alcuni indubbi vantaggi clinici come, ad esempio, il semplificare un tema articolato, come il metabolismo umano, rendendolo più comprensibile per i pazienti. Inoltre, sottolinea l’importanza, ai fini della gestione del peso, del controllo dei due comportamenti fondamentali che contraddistinguono lo stile di vita: dieta e attività fisica.

Secondo evidenze recenti (3), però, il modello additivo presenta una visione troppo semplicistica di come attività fisica e bilancio energetico interagiscono tra loro. Comprendere meglio questo rapporto dinamico risulta pertanto molto rilevante per chi opera nella riabilitazione dell’obesità, principalmente per scardinare quella convinzione radicata che la funzione primaria dell’esercizio fisico sia quella di “bruciare calorie”. Secondo il modello additivo del bilancio energetico, infatti, se intraprendiamo un regime di esercizio quotidiano, “bruciando” ad esempio 300 kcal ogni sessione, questo si traduce in un aumento del nostro dispendio energetico giornaliero di 300 kcal. Di conseguenza, le indicazioni per la salute più comuni hanno stabilito che più attività viene intrapresa, più calorie saranno state bruciate durante la giornata, in una condizione di diretta proporzionalità tra comportamento e dispendio energetico (2,4).

Negli ultimi anni, però, principalmente grazie agli studi di Pontzer (5, 6) che hanno valutato le correlazioni tra metabolismo e stile di vita nelle società su piccola scala, compresi i cacciatori-raccoglitori e gli agricoltori di sussistenza in Africa orientale e Sud America, si sono accumulate evidenze sul fatto che l’aumento della spesa energetica derivante dall’attività fisica sia spesso compensata (“compensazione energetica”) dalla diminuzione dell’energia spesa per altri processi biologici. L’idea di questa non perfetta linearità tra cambiamenti dei livelli di esercizio fisico e aumenti proporzionali della spesa energetica quotidiana non è recente (7-9), e parte dal presupposto che, in un contesto di risorse (energy budget) limitate, qualsiasi animale endotermico beneficerà di compromessi nell’allocazione di tali risorse a vari processi endogeni tra cui funzioni di sopravvivenza primaria come crescita e riproduzione (10).

La funzione primaria della compensazione energetica sembra essere stata per i nostri antenati di tipo adattivo, per minimizzare la domanda di energia alimentare, riducendo il tempo necessario per il foraggiamento e, di conseguenza, la riduzione dell’esposizione alla predazione.  In un contesto ambientale come quello moderno, in cui la disponibilità di cibo è elevata, questa funzione ha però una natura potenzialmente disadattiva, soprattutto per coloro che si esercitano per cercare di bruciare il consumo eccessivo di cibo. In sostanza questi studi sostengono che gli esseri umani che vivono una tipica vita moderna, non intraprendendo livelli eccezionali di attività o sperimentando carenze croniche di cibo, mostrano una compensazione significativa tra l’energia che consumano per l’attività e quella spesa per i processi metabolici basali. Nella vita di ogni giorno questo meccanismo fa sì che a lungo termine almeno un quarto delle calorie bruciate dalle persone durante l’esercizio non si traduce in calorie aggiuntive spese durante la giornata (11).

Il grado di questa compensazione sembra dipendere dal metabolismo basale (BMR) e dalla composizione corporea (in particolare la massa grassa – FM), ma non dall’età e dal sesso. La relazione positiva tra spesa energetica totale e dispendio a riposo non è sorprendente, dato che quest’ultimo ne rappresenta la componente più rilevante. Più interessante risulta la compensazione energetica che sembra emergere in relazione al livello di adiposità. Controllando sesso, età e massa magra (FFM), la compensazione aumenta all’aumentare della FM, passando dal 27,7% per le persone che si trovano al 10° percentile della distribuzione dell’indice di massa corporea (IMC), al 49,2% per quella al 90° percentile (11).

I dati sopra descritti hanno portato alcuni autori a concludere che l’attività fisica di per sé non promuova la perdita di peso perché, a causa dei meccanismi compensatori, i suoi effetti sul calo ponderale sono minimi. Questo corpus di idee si è concretizzato in un nuovo modello per spiegare il bilancio energetico (chiamato “modello vincolato”), secondo il quale la spesa energetica totale è un prodotto relativamente vincolato della nostra fisiologia evoluta, che si modifica in un intervallo fisiologico molto ristretto e non con modalità dose-dipendente rispetto al movimento che svolgiamo (12).

La divulgazione di queste conclusioni al grande pubblico, avvenuta nel marzo 2021 in seguito alla pubblicazione del libro di Pontzer “Burn – New research blows the lid off how we really burn calories, stay healthy, and lose weight” (13), è stata accompagnata dalla pubblicazione di articoli su numerosi quotidiani con titoli sensazionalistici (come ad esempio “Il nuovo libro ‘Burn’ sostiene che l’esercizio fisico non ti aiuterà a perdere peso” del NY Post – 14). Questo effetto ha generato non poco clamore in ambito accademico, attirando su Pontzer numerose critiche, come ad esempio quella del fisiologo dell’esercizio John Thyfault dell’Università del Kansas Medical Center, il quale ha affermato che mettere in dubbio l’utilità dell’esercizio ai fini della perdita di peso “potrebbe spingere le persone a dieta in abitudini meno sane”, “manca di sfumature” e “può fare più male che bene” (15).

Lo stesso Pontzer, pur sottolineando l’importanza degli “obblighi divulgativi che i ricercatori dovrebbero avere”, ha provato un senso di frustrazione per il modo in cui i suoi studi sono stati descritti, sottolineando di avere “poca responsabilità e poco controllo riguardo a come molti media hanno ripreso il suo articolo” (16).

La domanda rimane comunque in sospeso: l’attività fisica provoca di per sé perdita di peso?

Un editoriale pubblicato nel dicembre 2022 sull’International Journal of Obesity (17) ha cercato di fare il punto della situazione riguardo alle evidenze presenti in letteratura sull’argomento. Un fatto emerge in modo significativo: quantificare esattamente gli effetti dell’attività fisica sul peso è complesso. Questo perché, nonostante la disseminazione pervasiva di strumenti per monitorare l’attività fisica, è difficile misurarla accuratamente in contesti di vita libera. Inoltre, fattore ancora più importante, garantire un’adeguata aderenza alla quantità di attività fisica prescritta rappresenta attualmente la sfida più impegnativa sia nella pratica clinica sia nella ricerca. Questo fa sì che in letteratura sia presente un elevato numero di studi, di qualità metodologiche molto differenti, che presi singolarmente producono risultati contrastanti (17).

Pertanto, è essenziale affidarsi alle revisioni sistematiche degli studi randomizzati e controllati sugli effetti dell’attività fisica sulla perdita di peso, nonostante che anche tra di esse ci sia una mancanza di consenso. Infatti, come sottolineato da Pontzer et al. (18), una di queste revisione non ha trovato alcun effetto positivo dell’attività fisica. Proprio come per i singoli studi, anche le revisioni sistematiche differiscono per la loro qualità metodologica, l’adeguatezza delle analisi statistiche e la dimensione del campione. Per tale motivo le revisioni sistematiche delle revisioni sistematiche diventeranno sempre più importanti nel determinare evidenze sugli effetti dell’esercizio sulla perdita di peso nelle persone con obesità (19).

La più rilevante revisione sistematica delle revisioni sistematiche presente in letteratura, pubblicata da Bellicha nel 2021 (20), è stata inclusa nello stesso anno nel Position Stand sul ruolo dell’esercizio nella riabilitazione dell’obesità pubblicato dall’ European Association for the Study of Obesity (EASO) (21). La revisione, valutando le prove di 12 revisioni sistematiche sull’impatto che l’attività fisica ha sulla perdita di peso in studi randomizzati, ha concluso che l’attività fisica causa perdita di peso, ma la quantità è modesta* (da 1,5 a 3,5 kg) (20).

Questi dati indicano, come sostenuto elegantemente da Pontzer, che “l’attività fisica da sola non è un proiettile magico per la perdita di peso”, ma uno strumento che possiamo utilizzare per affrontare l’obesità in combinazione con un mezzo più potente, ovvero l’intervento dietetico (16). L’attività fisica gioca però un ruolo chiave per la prevenzione dell’aumento di peso (22-24), la salute metabolica, cardiovascolare e muscolare, e la qualità del peso perso, in particolare per le sue ricadute positive su composizione corporea e grasso viscerale (21). Inoltre, sembra determinare un effetto potenziante della terapia farmacologica dell’obesità. Questo effetto è stato confermato da un recente grande studio controllato e randomizzato di Lundgren [25] in cui la combinazione della terapia con Liraglutide con l’attività fisica ha migliorato in modo significativo il mantenimento della perdita di peso rispetto alla terapia con la sola Liraglutide, anche se sono necessari ulteriori studi per confermare questo risultato.

Resta da definire il ruolo della compensazione energetica che, pur essendo confermata da numerosi studi (3), non è ancora un fenomeno ben compreso (21, 25, 26), in quanto tuttora non si conoscono processi biologici coinvolti alla sua origine, i contesti in cui avviene e la misura in cui si verificano (28).

Le ipotesi sul perché questa compensazione avvenga sono molteplici (29, 30), anche se alcuni autori sembrano convergere su un’ipotesi comportamentale (31, 32) che coinvolge sia l’introito (33) che il dispendio energetico. Quest’ultimo, pur difficile da misurare, sembra coinvolgere in particolare l’attività fisica spontanea (ovvero tutto quell’insieme di movimenti che compongono la nostra quotidianità). Sembra infatti che essa possa diminuire in risposta all’aumento di energia spesa per fare esercizio, anche se pochi studi lo hanno misurato direttamente (27) e non sia stata ancora ben studiata la causalità del suo decremento in risposta all’aumento delle forme più strutturate di attività (3).

Approfondire questi temi potrebbe forse aiutare a creare maggiori certezze sugli effetti dell’esercizio sul mantenimento della perdita di peso, area in cui gli studi di lunga durata di qualità sono pochi (10) e non giungono a risultati certi (20). Inoltre, consentirebbe di offrire nuovi scenari di personalizzazione dell’intervento di promozione di una sana attività fisica per le persone con obesità nel quale quantità e tipologie specifiche di esercizio fisico potrebbero essere prescritte non per “bruciare calorie” ma per il conseguimento di una fitness ragionevole e sostenibile.

[*] Molta della confusione e causa del dibattito è stata generata dal concetto di “modesta perdita di peso”. Secondo Pontzer (16) “modesto non è definito e porterebbe a indurre la maggior parte dei laici ad aspettarsi più di 2 kg di perdita di peso da mesi di esercizio diligente – messaggio che è stato travisato dai media in “l’esercizio non ti farà perdere peso”) – e di entità importante” – sembra infatti che le persone con obesità necessitino di quantità di esercizio leggermente superiori rispetto ai 150’/settimana indicati nelle Linee Guida per gli adulti normopeso (21).

Bibliografia

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