Modello di malattia versus modello psicologico dei disturbi dell’alimentazione

Riccardo Dalle Grave e Simona Calugi

Il trattamento dei disturbi dell’alimentazione è spesso ostacolato dalla natura egosintonica di alcune sue espressioni, come la dieta ferrea, l’esercizio fisico eccessivo e il basso peso. Le persone affette da disturbi dell’alimentazione, infatti, non solo fanno fatica a vedere queste caratteristiche come un problema, ma al contrario, sperimentano spesso un profondo senso di realizzazione quando riescono a seguire le loro regole dietetiche estreme e rigide e a perdere peso.

Capire perché una persona continui a seguire una dieta ferrea e ad adottare altri comportamenti estremi di controllo del peso per cerca di perdere peso e modificare la forma del corpo nonostante i loro effetti negativi sulla salute fisica, sul benessere psicologico, sulle relazioni interpersonali e sul rendimento scolastico/lavorativo è stata una delle sfide più importanti dei teorici e dei clinici che si sono occupati di disturbi dell’alimentazione.

Due interpretazioni principali sono state proposte.

Il modello di malattia spiega le varie espressioni del disturbo dell’alimentazione, come la dieta ferrea, le abbuffate, la paura di ingrassare e la mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale basso peso corporeo come sintomi di una malattia specifica (ad esempio, l’anoressia nervosa o la bulimia nervosa). Il modello di malattia, con una forte base biologica, adotta un approccio medico tradizionale chiedendo ai “pazienti” di non fidarsi dei loro pensieri sul peso, sulla forma del corpo e sul controllo dell’alimentazione perché sono sintomi della loro malattia e di seguire la prescrizione dei medici, degli psicologi e delle dietiste. In altre parole, al paziente viene chiesto di adottare un ruolo passivo nel trattamento e di seguire le prescrizioni dietetiche, farmacologiche e psicologiche dei terapeuti.

Sebbene il modello di malattia possa aiutare a decolpevolizzare i familiari e il paziente per lo sviluppo del disturbo dell’alimentazione ha lo svantaggio principale di non aiutare la persona a comprendere i significati psicologici associati al controllo del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione. Inoltre, nonostante da molti anni si ricerchi la causa biologica dei disturbi dell’alimentazione, non è ancora stato trovato un biomarcatore che spieghi il loro sviluppo e mantenimento. Questo spiega anche perché è più corretto usare la definizione “disturbo” e non “malattia” per definirli. Infine, e questo forse è il punto più importante, nessuno studio ha dimostrato l’efficacia dei trattamenti farmacologici o biologici spesso usati nella cura dell’anoressia nervosa e di altri stati simili.

Il modello psicologico, come quello adottato dalla terapia cognitivo comportamentale migliorata (anche conosciuta come CBT-E), si basa su una spiegazione psicologica del disturbo dell’alimentazione. Secondo questa interpretazione, la “persona” ha difficoltà a vedere la dieta, i comportamenti estremi di controllo del peso e il basso peso (quando presente) come un problema, perché la sua valutazione di sé, per diverse ragioni, è diventata prevalentemente basata sul peso, sulla forma del corpo e sul controllo dell’alimentazione. Per tale motivo la persona prova un senso di realizzazione quando riesce a seguire la dieta e a perdere peso e, di conseguenza, non li percepisce come un problema, nonostante le loro gravi conseguenze negative. Tuttavia, la persona può essere aiutata a capire che questo sistema di autovalutazione, oltre ad essere associato a numerosi danni fisici e psicosociali, può essere disfunzionale nel raggiungere una buona e stabile valutazione di sé e nel decidere attivamente di trovare, con l’aiuto del terapeuta, altre soluzioni più funzionali. In altre parole, alla persona viene chiesto di assumere un ruolo attivo nel trattamento per identificare e poi affrontare i processi di mantenimento del disturbo dell’alimentazione.

Il vantaggio del modello psicologico è di aiutare il paziente a comprendere la funzione percepita positiva, ma disfunzionale, del valutarsi in modo predominante sul peso, sulla forma del corpo e sul controllo dell’alimentazione e, allo stesso tempo, a capire che ci sono dei modi per sviluppare un sistema di autovalutazione più funzionale e articolato. Inoltre, l’analisi storica degli eventi accaduti nella vita dei pazienti, che possono averli sensibilizzati verso il controllo del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione, sebbene non possa offrire una spiegazione esaustiva del disturbo dell’alimentazione né tantomeno comprenderne le cause che, ad oggi, non sono note, può aiutarli a distanziarsi dal problema e a decolpevolizzarsi, senza adottare la spiegazione di malattia, e a migliorare la comprensione dei processi che stanno attualmente agendo.

Infine, e a differenza dei trattamenti farmacologici o biologici basati sul modello di malattia, quelli basati sul modello psicologico hanno dimostrato in numerosi studi clinici di essere efficaci nella cura dell’anoressia nervosa, della bulimia nervosa e di altri stati simili e per tale motivo sono raccomandati dalle principali linee guida internazionali.

Referenze

Dalle Grave, R. and S. Calugi (2020). Cognitive behavior therapy for adolescents with eating disorders. New York, Guilford Press.