Bias, Stigma e Discriminazione sul peso: tre termini che meritano una loro identità
Daniele Di Pauli
Psicologo e psicoterapeuta, autore di “Obesità e Stigma” ed. Positive Press.
L’obesità è una delle questioni di salute pubblica più complesse, difficili e controverse che le società moderne si trovano ad affrontare. È anche una crisi su cui quasi tutti hanno un’opinione. Purtroppo, molte di queste opinioni si basano su una diagnosi semplicistica, accompagnata dalla tendenza a ridurre la componente scientifica e ad enfatizzare la retorica moralistica.
Tutto questo alimenta la stigmatizzazione del peso.
In letteratura, tuttavia, compaiono spesso tre termini – bias, stigma e discriminazione – che non sono sinonimi, ma hanno significati distinti. Proprio per questo, Marilou Côté (Università LAVAL, Quebec) insieme a numerose colleghe esperte del tema dello stigma basato sul peso – tra cui Rebecca Pearl, Rebecca Puhl, Ximena Ramos Salas e Angela Alberga – ha pubblicato un Articolo di Opinione con lo scopo di chiarire concettualmente questi tre costrutti. La distinzione non è solo teorica: è necessaria per la ricerca scientifica, la pratica clinica e il progresso delle politiche sanitarie.
Quando si usano questi termini, si può incorrere in due errori concettuali ben noti:
- Jingle fallacy (fallacia del nome uguale): la stessa parola usata per fenomeni diversi (es. “stigma del peso” usato per indicare sia gli atteggiamenti negativi sia le azioni discriminatorie).
- Jangle fallacy (errore del nome diverso): parole diverse usate per descrivere lo stesso concetto (bias, stigma e discriminazione usati come sinonimi)
Di seguito, è riportata una chiarezza terminologica essenziale.
Bias del peso: insieme di idee, credenze e atteggiamenti negativi – consapevoli o impliciti – nei confronti delle persone con obesità. Riguarda il pensiero individuale (es. “sono pigri”, “mancano di volontà”, “non hanno responsabilità”). Nasce spesso da attribuzioni errate sulla causalità e sulla controllabilità del peso.
Stigma del peso: si manifesta quando tali bias diventano socialmente condivisi e si trasformano in un processo di svalutazione. Secondo la concettualizzazione di Link & Phelan [1], lo stigma implica:
- etichettamento
- stereotipizzazione
- separazione (“noi vs loro”)
- perdita di status e colpevolizzazione
- squilibrio di potere
Lo stigma rende la persona con obesità socialmente “inferiore”, meno competente o meno meritevole. Non solo viene subìto, ma può essere interiorizzato (“Sono pigro”, “È tutta colpa mia”, “Sono un fallimento”). Queste frasi le possiamo sentire spesso dai nostri pazienti nella pratica clinica,
Discriminazione dovuta al peso: si verifica quando lo stigma viene agito. Sono i comportamenti, le decisioni e le politiche che escludono, limitano o danneggiano la persona a causa del suo peso corporeo. Avviene nei contesti più rilevanti: sanità, lavoro, scuola, relazioni sociali, normative pubbliche. È l’esito pratico del bias e dello stigma.
In sintesi, possiamo riassumere che il bias alimenta lo stigma; lo stigma crea una svalutazione sociale e, infine, la discriminazione ne è l’esito concreto.
Questo articolo di opinione sottolinea tre sfide cruciali:
- Chiarezza concettuale – evitare le jingle/jangle fallacies e usare correttamente le definizioni di bias, stigma e discriminazione sul peso.
- Rigorosità nella misurazione – migliorare gli strumenti per studiare questi fenomeni in modo affidabile e comparabile.
- Validità interculturale – comprendere come i termini vengono tradotti, interpretati e applicati nei diversi contesti linguistici e culturali.
L’obiettivo è costruire un linguaggio scientifico comune per potenziare la ricerca, favorire una pratica clinica più etica e supportare politiche pubbliche realmente inclusive
L’obesità è complessa, così come lo è lo stigma. Quando parlo di stigma verso l’obesità, sono solito dire che è una “complessità al quadrato”. Ma è una complessità che possiamo comprendere, affrontare e indebolire gradualmente. Per questo è necessario un lavoro di squadra, guidato dal rispetto reciproco, tra ricercatori, professionisti della salute, società scientifiche, mondo politico, associazioni di pazienti, attivisti e, infine, la voce delle persone affette da obesità.
Quella voce è fatta di parole. Ed è proprio per questo che la costruzione di un lessico chiaro, condiviso e rispettoso rappresenta una delle priorità fondamentali nella lotta allo stigma sul peso.
[1] Secondo Link e Phelan, lo stigma nasce quando cinque processi sociali si attivano simultaneamente: etichettamento di una caratteristica, stereotipizzazione attraverso tratti negativi associati a quell’etichetta, separazione tra “noi” e “loro”, perdita di status sociale accompagnata da colpevolizzazione e squilibrio di potere che consente a chi ha più controllo di mantenere o rafforzare questa posizione dominante. Lo stigma viene quindi compreso come un fenomeno relazionale, radicato nelle dinamiche sociali e nei rapporti di potere, e non soltanto come un pregiudizio individuale.
Bibliografia
Côté M, Forouhar V, Sacco S, Baillot A, Himmelstein M, Hussey B, Incollingo Rodriguez AC, Nagpal TS, Nutter S, Patton I, Pearl RL, Puhl RM, Ramos Salas X, Russell-Mayhew S, Alberga AS. Weight bias, stigma and discrimination: a call for greater conceptual clarity. Front Psychol. 2025 Nov 6;16:1710851. doi: 10.3389/fpsyg.2025.1710851. PMCID: PMC12634050.
Link, B. G., and Phelan, J. C. (2001). Conceptualizing stigma. Annu. Rev. Sociol. 27, 363–385. doi: 10.1146/annurev.soc.27.1.363
