La capacità decisionale non può essere l’unico criterio per determinare l’obbligo di trattamento per le persone con anoressia nervosa

A cura di Riccardo Dalle Grave

AIDAP Verona

Nel gennaio 2024, The New York Times Magazine ha pubblicato un articolo dal titolo provocatorio: “Should Patients Be Allowed to Die From Anorexia?” (Ai pazienti dovrebbe essere permesso di morire di anoressia?). Questa domanda, apparentemente estrema, ha riacceso un dibattito che coinvolge medici, psicologi, pazienti e famiglie: fino a che punto una persona affetta da anoressia nervosa grave può essere considerata in grado di rifiutare le cure?

Holmes e colleghi dell’Indiana University School of Medicine di Indianapolis hanno recentemente affrontato questo tema controverso in un articolo pubblicato su JAMA Psychiatry. Gli autori sottolineano che l’anoressia nervosa (AN) è uno dei disturbi di salute mentale più complessi e pericolosi, con tassi di mortalità tra i più alti nel campo della psichiatria. Il disturbo compromette non solo la salute fisica, ma anche la capacità decisionale del paziente, portando spesso al rifiuto ostinato delle cure, anche in condizioni di grave malnutrizione e rischio di vita.

La capacità decisionale: un nodo cruciale

Secondo gli autori, la questione della capacità decisionale è centrale nel dibattito. Tradizionalmente, i medici valutano questa capacità in base a quattro criteri principali delineati da Appelbaum e Grisso nel 1988:

  1. Comprensione delle informazioni mediche ricevute.
  2. Consapevolezza della propria condizione e delle conseguenze delle proprie scelte.
  3. Capacità di ragionamento e valutazione delle opzioni disponibili.
  4. Espressione di una scelta coerente con i propri valori e desideri.

Per i pazienti con AN, questa valutazione risulta particolarmente complessa. Molti di loro, pur avendo un’intelligenza intatta e un’apparente lucidità, sono influenzati da una condizione definita coercizione interna: un impulso incontrollabile che li porta a rifiutare il cibo e il recupero del peso, anche di fronte a gravi conseguenze mediche. Questo meccanismo rende difficile distinguere tra un rifiuto autentico e una decisione viziata dal disturbo stesso.

L’incertezza prognostica e il dilemma etico

Secondo Holmes e colleghi uno degli aspetti più controversi riguarda l’incertezza prognostica. Esistono pazienti che, nonostante numerosi trattamenti falliti, continuano a rifiutare le cure, portando i medici a chiedersi se ulteriori tentativi abbiano senso. Tuttavia, prevedere l’evoluzione dell’anoressia è estremamente difficile: vi sono storie di persone che, dopo anni di ricoveri e rifiuti, riescono a intraprendere un percorso di recupero.

Questo margine di incertezza rende la valutazione della capacità decisionale soggetta a interpretazioni diverse. Alcuni medici ritengono che, in assenza di miglioramenti evidenti, sia eticamente corretto rispettare il rifiuto del paziente; altri, invece, credono che il trattamento debba essere comunque perseguito, anche in forma involontaria, nella speranza di un cambiamento futuro.

Oltre alla sfida clinica, i medici affrontano un conflitto etico significativo. Trattare forzatamente un paziente con AN grave può essere psicologicamente ed emotivamente gravoso: impone al paziente un percorso che potrebbe essere vissuto come un’ulteriore sofferenza, aumentando il rischio di conflitti e di scarsa collaborazione alle cure.

D’altra parte, dichiarare un paziente “capace” di rifiutare le cure può rappresentare, in alcuni casi, una strategia inconscia per alleviare il peso della decisione, spostando la responsabilità dal medico al paziente stesso. In questo scenario, il rispetto dell’autonomia rischia di trasformarsi in una forma di abbandono terapeutico.

Verso un approccio più ampio e multidisciplinare

Holmes e colleghi avvertono che un’eccessiva enfasi sulla capacità decisionale rischia di semplificare una questione complessa, spostando il dibattito da una riflessione più ampia sul benessere del paziente. Un approccio più efficace potrebbe prevedere:

  • Una valutazione multidisciplinare, con il coinvolgimento di psichiatri, nutrizionisti, eticisti e assistenti sociali, per ottenere un quadro più completo della situazione.
  • Un supporto a lungo termine, che preveda opzioni di cura flessibili e adattabili alle necessità del paziente, piuttosto che soluzioni drastiche di accettazione o rifiuto totale.
  • Una comunicazione trasparente, che aiuti i pazienti a comprendere le opzioni disponibili, riducendo il rischio che la decisione venga vissuta come una coercizione.
  • Il coinvolgimento della famiglia, che spesso può offrire un sostegno cruciale nel processo di cura.

Conclusione

La gestione dei pazienti con anoressia nervosa grave rappresenta una delle sfide più complesse della medicina moderna. Secondo Holmes e colleghi la capacità decisionale non può essere l’unico criterio per stabilire se un paziente debba ricevere cure o meno. Il rischio di errori è elevato: rispettare ciecamente il rifiuto di una persona che potrebbe non essere pienamente consapevole della propria condizione può tradursi in una rinuncia alla cura; al contrario, imporre trattamenti forzati senza considerare il contesto complessivo può causare ulteriori danni.

Per questo motivo, è fondamentale adottare un approccio più ampio, che non si limiti a un giudizio tecnico sulla capacità decisionale, ma tenga conto di tutti gli aspetti clinici, emotivi ed etici. Solo così sarà possibile garantire a questi pazienti cure adeguate, rispetto e, soprattutto, una possibilità concreta di recupero.

Riferimenti Holmes, E. G., Hartsock, J. A., & Martin, A. S. (2025). Caring for Patients With Severe Anorexia Nervosa-A Capacity Evaluation Cannot Save UsJAMA Psychiatry. doi:10.1001/jamapsychiatry.2025.0102