Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo (ARFID)

A cura di Riccardo Dalle Grave

Non è raro che alcuni bambini siano etichettati come mangiatori “schizzinosi” o “selettivi” perché non sembrano essere interessati al cibo o perché limitano il loro introito di cibo a solo cinque – sei alimenti. In molti casi, fortunatamente, l’alimentazione selettiva non ha un’influenza negativa sullo sviluppo psico-fisico, perché il bambino mantiene un introito calorico adeguato, e si si risolve spontaneamente nell’adolescenza, quando la pressione dei pari si associa ad un allargamento della varietà dei cibi assunti. In un sottogruppo di bambini, però, l’alimentazione selettiva può compromettere in modo significativo la crescita e lo sviluppo e, in alcuni casi, soddisfare i criteri diagnostici del disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo (ARFID).

L’ARFID è un disturbo introdotto nel 2013 dalla quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), che ha unito in un’unica categoria diagnostica i disturbi della nutrizione dell’infanzia con i disturbi dell’alimentazione.

La diagnosi di ARFID si pone quando si verifica un persistente fallimento nel soddisfare le necessità nutrizionali e/o energetiche che determina una (o più) delle seguenti conseguenze: (i) perdita di peso significativa (o fallimento di raggiungere l’aumento di peso atteso o inadeguata crescita nei bambini); (ii) deficit nutrizionale significativo; (iii) funzionamento dipendente dalla nutrizione enterale o dai supplementi orali; (iv) marcata interferenza con il funzionamento psicosociale.

Nell’ARFID sono stati proposti tre sottotipi: (i) evitamento del cibo per un’apparente mancanza d’interesse per il mangiare o il cibo (una condizione chiamata anche disturbo emotivo di evitamento del cibo); (ii) evitamento sensoriale del cibo, in cui l’evitamento del cibo è legato alle sue proprietà sensoriali quali l’aspetto, l’odore, la consistenza, il gusto o la temperatura; (iii) evitamento del cibo dovuto alle preoccupazioni per le conseguenze avversive del mangiare, come il soffocarsi, il vomitare o lo stare male. In questi pazienti sono anche comuni sintomi come il dolore addominale, la nausea e la malattia da reflusso gastroesofageo. È da sottolineare che, sebbene questa suddivisione sia clinicamente utile quando si effettua la formulazione del caso, i sottotipi dell’ARFID non hanno ancora ricevuto una validazione empirica.

Per porre diagnosi di ARFID, il disturbo non deve essere spiegato dalla mancata disponibilità di cibo o da una pratica culturalmente sancita, non deve manifestarsi esclusivamente durante il decorso dell’anoressia nervosa e della bulimia nervosa e non deve esserci l’evidenza che l’evitamento del cibo sia la conseguenza della paura d’ingrassare e dell’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo.  Infine, il disturbo non deve essere attribuibile a una malattia medica concomitante o essere spiegato da un altro disturbo mentale. Quando il disturbo dell’alimentazione si verifica nel contesto di un’altra condizione o disturbo, la gravità del disturbo dell’alimentazione deve eccedere quella abitualmente associata con la condizione o il disturbo ed è sufficientemente grave da giustificare un’attenzione clinica aggiuntiva.

La prevalenza dell’ARFID è stata valutata solo in studi retrospettivi e i risultati preliminari indicano che i pazienti con questo disturbo tendono ad essere più giovani rispetto a quelli con anoressia nervosa e bulimia nervosa e che, rispetto a questi disturbi, il disturbo sembra colpire un maggior numero di maschi. Inoltre, il disturbo presenta una frequente comorbilità per i disturbi d’ansia e, in alcuni casi, per il disturbo da deficit di attenzione/iperattività e i disturbi dello spettro autistico.

Bibliografia

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