Resoconto AIDAP dell’European Obesity Summit 2016

 A cura di Maria Chiara Conti e Arianna Banderali

Si è tenuto a Gothenburg dall’1 al 4 giugno 2016 alla presenza di oltre mille partecipanti provenienti da 52 paesi del mondo, la ventitreesima edizione dell’European Obesity Summit,  congresso della European Association for the Study of Obesity (EASO). Chirurgia bariatrica, terapia farmacologica, programmi di modificazione dello stile di vita sono le tre macro aree che hanno visto confrontarsi a ritmo serrato alcuni tra i maggiori specialisti del panorama mondiale in tema di gestione dell’obesità, noto fattore di rischio di numerose patologie acute e croniche di natura cardiovascolare, metabolica, tumorale nonché psicosociale e che inizia a essere finalmente riconosciuta come una “condizione patologica multifattoriale” che necessita, ora più che mai, di terapie evidence-based.

Il mito dell’unica e infallibile soluzione è caduto: urge rivalutare criticamente le soluzioni finora proposte, rischi e benefici di interventi talora eccessivamente invasivi, ridimensionando fin dal principio le aspettative del paziente riguardo alla perdita di peso, nell’ottica di offrirgli davvero la soluzione ottimale, riportandolo al centro della terapia e senza dimenticare di affrontare seriamente anche lo stigma che si accompagna alla sua già invalidante condizione. E poi prevenzione, questa sconosciuta, molto discussa ma ancora poco attuata, forse unica possibilità di arginare quella che l’OMS definisce come vera e propria pandemia per finire con lo sviluppo e la diffusione della Mobile Health Technology dall’irresisitbile fascino esercitato soprattutto sulla popolazione giovane.

Come ricordato dal prof. Sarwer (Pennsylvania) nell’intervento dal titolo The Psycosocial Burden of Obesity, l’obesità, in particolare quella grave, è frequentemente accompagnata da stigma psicosociale e comorbidità. I soggetti affetti da tale patologia rappresentano una delle categorie più colpite da discriminazioni, pregiudizi e stereotipi quali mancanza di forza di volontà e disciplina, pigrizia, debolezza e perfino scarsa intelligenza.

Sorprende e invita a seria riflessione il dato riportato da Fleetwood C. (Svezia) nella sua relazione “A call to action to address weight stigma” che vede tali convinzioni insite nei bambini fin dai 3 anni d’età. A ciò si aggiunge anche il fatto che, contrariamente a quanto accade per altre categorie oggetto di stigma, i bambini con questo problema non solidarizzano affatto tra loro e tendono all’isolamento psicosociale. La condizione di obesità inoltre conduce allo stigma che, a sua volta, mantiene e rafforza l’obesità stessa in un circolo vizioso autoperpetuante, come dall’intervento del prof. Rasmussen (Svezia) Stigmatization of children and adults with obesity.

Allargando la visuale al setting di cura, il prof. Kirk (Canada), nell’interessante e critica relazione  Rewriting the script on weight stigma in health settings, ha sottolineato la necessità di rivalutare attentamente l’adeguatezza del personale preposto alla cura del paziente obeso, in termini di approccio (non prescrittivo), linguaggio (rispettoso e comprensivo), nonché della struttura sanitaria stessa (abbattimento di eventuali barriere residue e idoneo arredamento della sala d’attesa) nell’ottica di offrire, per l’intera durata della terapia, un ambiente il più possibile funzionale, accogliente e non giudicante

Non solo gli specialisti ma anche i pazienti stessi hanno fatto sentire la loro voce in più di una sessione che EOS ha appositamente dedicato loro. Esperienza quotidiana di grave discriminazione e disagio ma anche di iniziative svolte all’interno di associazioni che operano attivamente in scuole e strutture dei rispettivi territori di appartenenza, per informare, raccontare cosa significa vivere e muoversi con il peso del corpo e della vergogna e dire che si può e si deve uscire da questa condizione di isolamento. Uno tra tutti Orley Andreasson (Svezia) che, intervenendo alla cerimonia di apertura del congresso, ha portato la propria testimonianza di paziente un tempo oggetto di discriminazione e oggi orgogliosamente membro dell’associazione Riksforbundet HOBS che da anni denuncia e, al tempo stesso, affronta con successo il problema dello stigma attraverso programmi altamente specializzati e somministrati fin dai primi livelli di scolarizzazione.

Nelle sessioni dedicate al trattamento multidisciplinare del paziente adulto, ampio spazio è stato dato all’applicazione delle terapie di modificazione dello stile di vita. Tre sono le aree di intervento: dieta, esrcizio fisico e Terapia Cognitivo Comportamentale, assegnando a quest’ultima un ruolo chiave sia nella fase di perdita che di mantenimento del peso. Come ribadito con enfasi dal prof. Tsigos (Grecia) nella chiara ed esaustiva relazione Clinical evaluation of the obese patient,  una perdita pari al 5-10% del peso iniziale è un obbiettivo non solo ragionevole ma anche e soprattutto mantenibile nel lungo periodo e che non è tanto la composizione della dieta in termini di macronutrienti quanto l’adesione del paziente al programma a determinarne il successo. Evidenze nuovamente riprese dalla prof. Roman (Romania) Lifestyle management tips.

La “vera storia delle diete multiple”, più volte raccontata durante le quattro giornate al ritmo di numeri e immagini, conferma ancora una volta come obbiettivi di perdita di peso non realistici accompagnati da ripetuti fallimenti e incessante ricerca di nuove soluzioni, conducano inevitabilmente il paziente a recuperare la totalità del peso con tanto di interessi. Rispettare le preferenze alimentari del paziente, concordare un pattern di assunzione dei pasti regolare e uno stile di vita attivo, sembrano essere la miglior garanzia non solo di un ragionevole calo ponderale ma anche del suo mantenimento.

A proposito di attività fisica, è stato più volte ribadito che essa non contribuisce in modo essenziale alla perdita di peso quanto invece al suo mantenimento, processo che deve essere pazientemente monitorato per tutto il resto della vita perché  l’obesità è una patologia cronica.  Nel caso del paziente anziano che necessita di un intervento di riduzione del peso è appropriato adottare un saggio approccio integrato: dieta moderatamente ipocalorica rispetto al fabbisogno, eventualmente supplementata di amminoacidi ramificati ed esercizi che migliorino la fitness in termini di equilibrio, flessibilità e resistenza, come ricordato da Bosy-Westphal (Germania) The role of body composition in nutritional assessment, e  Govers (Netherlands) Best practice in nutritional interventions.

La valutazione della fitness fisica risulta rilevante proprio in fase di assessment iniziale del paziente sovrappeso-obeso quale parametro maggiormente predittivo dello stato di salute piuttosto che la quantità di attività fisica svolta in assoluto. L’interessante relazione del Il prof. Mathus-Vliegen (Amsterdam) Weight loss in the elderly: emphasys on food or exercise? ha sottolineato che la fitness fisica è indipendente dalla quantità di attività fisica svolta e che mantenere un adeguato livello di fitness è certamente un buon indicatore di qualità di vita, a maggior ragione per il soggetto anziano.

Numerosi sono I benefici che derivano da una moderata perdita di peso in termini metabolici, psichici e funzionali che troppo spesso sfuggono all’attenzione del paziente esclusivamente focalizzato sull’obbiettivo di calo ponderale. Lo hanno ricordato gli interventi dei prof.  Breda (Danimarca) How important is sedentary behaviour for health in a global perspective?, De Zwaan (Germania) What distinguishes weight loss maintenance from the general population? e Stubbs (UK) Predictors of weight loss maintenance.

Ampio spazio è stato dedicato alla prevenzione del  sovrappeso e dell’obesità su più livelli: giovanissimi, scuola famiglia, food industry e mezzi di comunicazione, meglio se social,  con un unico take home message: “Prima si interviene meglio è” ovvero come l’efficacia degli interventi di  riduzione del BMI si riduca al crescere dell’età, tanto per citare gli studi di Golan (2006) e di West (2010) condotti sui genitori, di Reinher (2010) su bambini tra  4 e 16 anni, di  Byron (2015) e di Colquitt (2016) sull’intervento combinato dieta-attività fisica-terapia comportamentale.

Notevole l’intervento teorico-pratico di Nowicka (Svezia) dal titolo Early obesity treatment: motivational work with the parents of the youngest. Current evidence of effectiveness and practical examples che ha sottolineato l’importanza e l’efficacia di un atteggiamento propositivo e incoraggiante da parte dei soggetti adulti coinvolti nella gestione del peso dei più piccoli (genitori, nonni, insegnanti, adulti vicini al nucleo familiare). Chiarezza e specificità delle richieste sono i requisiti per un intervento in grado di produrre cambiamenti davvero significativi nello stile di vita dei più piccoli e di tutto il contesto familiare. L’intervento si è concluso con un efficace role play di utile e piacevole partecipazione.

Inutile negare il ruolo chiave dei social media e delle app dedicate all’area della salute e degli stili di vita che si diffondono a macchia d’olio e che vedono connessi alla rete un numero crescente di soggetti, soprattutto giovanissimi, in uno scambio continuo di informazioni. Da una parte si intravvede nelle app e nella cosiddetta Mobile Health Technology la possibilità di offrire programmi che avvicinino i giovanissimi a un corretto stile di vita e ampia accessibilità a programmi di salute, nell’ottica di una prevenzione sempre più precoce e sempre più scalabile. Dall’altro come non domandarsi quale pericolo si celi dietro questa diffusione tuttora priva di adeguati filtri e regolamentazione, nuovo dilemma della modernità e dei suoi rischi brillantemente affrontato da Condon (UK) What is the current state of the art of mHealth Technology and how is it used to engage children and adolescents to enable sustainable change in health behavior for the prevention of obesity?

Ampio spazio alle sessioni sulla chirurgia bariatrica. Notevoli risultati si registrano in termini di remissione del diabete di tipo 2 più che sulla riduzione del peso e relativo mantenimento. Per questa ragione oggi il termine è stato sostituito senza mezzi termini da chirurgia metabolica.

Sono stati ampiamente illustrati nelle relazioni del prof. Shauer (USA) What is the evidence of BMI, non solo i benefici a breve termine ma anche i ben noti rischi connessi: metabolici (ipovitaminosi, anemia, fratture), meccanici (dumping syndrome) e psichici (depressione, suicidio). A ciò si aggiunge anche l’evidenza di un sostanziale e innegabile recupero del peso perso, come evidenziato dal prof. Schernthaner  (Austria) nella sua  Critical evaluation of methabolic surgery in obesediabetic patients.

Sono state esplorate aree di particolare interesse e tuttora in fase di osservazione come quella adolescenziale e del pre e post gravidanza. L’obesità in gravidanza è una condizione dai ben noti ed elevati rischi materno-fetali: parto pretermine, diabete, macrosomia, NTD, CHD, CLP (che spesso sfuggono alla diagnostica ecografica), prolasso anale, parto cesareo causa riduzione della contrattilità uterine, solo per citarne alcuni.

La gravidanza post chirurgia bariatrica non è sconsigliata in assoluto, benché debba considerare attentamente  età, BMI pre intervento, condizione di salute della paziente e andrebbe affrontata non prima di 2 anni dall’intervento. Seppure si registrino indubbi benefici metabolici per la madre (remissione del diabete di tipo 2 e ipertensione), permangono  elevati i rischi per il nascituro, queste le evidenze emerse dagli interventi dei prof. Blomberg (Svezia) Effects of obesity on mother and child, Nizard (Francia) Complications and compliancy problems during pregnancy  e Granstrom (Svezia) Surgical challenges during pregnancy in bariatric patients.

Per quanto riguarda pro e contro della chirurgia bariatrica nell’adolescente, il prof. Pietrobelli (Italia) ha ribadito come essa non solo sia controindicata prima dei 18 anni, salvo casi particolari, ma che dovrebbe rappresentare l’ultima scelta nel trattamento dell’obesità in quanto può comportare gravi carenze di micronutrienti e riduzione della densità ossea particolarmente rilevanti in un soggetto in crescita. Un trattamento combinato di dieta, esercizio fisico e sviluppo di abilità per la perdita e il mantenimento del peso dovrebbe sempre rappresentare la prima scelta nella gestione dell’adolescente con BMI elevato.

Alla voce del prof. Pietrobelli si è associata con decisione quella del prof Jarvholm (Svezia) con la sua interessante relazione dal titolo Weight- related psychosocial problems in adolescents before and over 5 years after bariatric surgery-Results from a Swedish nationwide AMOS study  sui risultati di un ampio studio nazionale condotto su adolescenti sottoposti a intervento di chirurgia bariatrica. Grave compromissione del funzionamento psicosociale in termini di insoddisfazione per il peso e per l’immagine corporea è il dato sconcertante che ne emerge, riscontrabile fino a 5 anni dall’intervento.

Il congresso ha affrontato anche i complessi meccanismi di regolazione del bilancio energetico la cui voce più originale e rappresentativa è stata quella di Blundell (UK) che ha presentato gli ultimi dati a sostegno della sua teoria che vede la spesa energetica da attività fisica come il “motore dell’assunzione di cibo” nel suo magistrale intervento dal titolo Re-thinking appetite regulation: the role of energy expenditure and its relationship to energy intake.

È stato affrontato anche il controverso tema della food addiction, ovvero possiamo parlare di dipendenza da cibo? I media contribuiscono ampiamente alla diffusione del concetto che il cibo sia una droga, rafforzando la convinzione generale che di quel cibo non se ne possa proprio fare a meno.

Pur riconoscendo che l’assunzione di alimenti come pane, pasta, dolci, patatine, bibite gassate determinino l’attivazione di aree del sistema limbico, non sembrano tuttora esserci evidenze che si possa parlare di una vera e propria dipendenza, come emerso dalla relazione del prof. Finlayson (UK) Are eating-related “addictions” a cause of concern or empty concepts? È stato infatti ricordato che sebbene la definizione di “dipendenza” sia passata da “disturbo psichiatrico” a “disturbo neuro-metabolico” dalla recente revisione del DSM-5, la food addiction non è stata inclusa nelle dipendenze. Non si tratta infatti di una condizione stabile né misurabile (la Food Addiction Scale ha bias intrinseci) e tuttora priva di criteri diagnostici che la distinguano dagli altri disturbi dell’alimentazione, come ha sottolineato il prof.  Hebebrand (Germany) To what extent does food addiction overlap with eating disorder?   E se anche un giorno si potesse parlare di food addiction, quale impatto si registrerebbe sul comportamento alimentare? Questo il quesito del Prof.   Hardman (UK), oggetto del suo intervento The effect of believing in food addiction on eating behavior.

L’obesità ha certamente una base genetica e pare si erediti in misura maggiore dalla madre, forse in virtù della maggior parte del tempo trascorso con i figli. Tuttavia sappiamo che cibo, inquinanti ambientali, fattori stressogeni, esercizio fisico alterano l’espressione genica attraverso processi di modificazione istonica, metilazione del DNA e silenziamento genico. Questi meccanismi cosiddetti epigenetici alterano l’espressione del DNA, sono ereditabili ma al tempo stesso reversibili. Motivo per il quale, come sottolineato dalla prof. Loos (USA) nel corso del suo intervento What is epigenetics?, non è mai troppo tardi adottare un sano stile di vita. Tuttavia, sebbene si conoscano più di 300 loci genici associati a BMI, rischio di obesità, livelli di leptina e circonferenza addominale, le comuni varianti genetiche non sono predittive della condizione di obesità e, in virtù della loro posizione intragenica, risultano molto difficili da isolare.

Il prof. Pagotto (Italia) ha tenuto un’interessante e puntuale relazione nella sezione How do you manage weight re-gain and comorbidities after surgery? – By pharmacotherapy? confermando che, in linea generale, i principali criteri di accesso alla terapia farmacologica  sono BMI ≥ 30 e  BMI ≥  27 in presenza di comorbidità. Orlistat, Naltrexone+Bupropione e Liraglutide sono i principi attivi attualmente in uso per la riduzione del peso corporeo, il diabete di tipo 2 e ora anche la gestione del recupero del peso post chirurgia bariatrica. Considerando che la stessa produce alterazioni metaboliche che potrebbero influire su farmacocinetica e farmacodinamica di queste molecole, pare utile valutare il meccanismo d’azione dei singoli principi attivi sia in rapporto al tipo di intervento eseguito sia alle ragioni del suo eventuale insuccesso.

Innumerevoli le comunicazioni orali brevi che si sono susseguite e un’ampissima esposizione di poster hanno contribuito a rendere questa edizione EOS ancora più ricca di contenuti tra i quali abbiamo selezionato i più rilevanti e utili, a nostro giudizio, ai fini della pratica clinica e che siamo molto felici di poter condividere con tutti voi.

Il congresso si è concluso con un caloroso saluto a tutti i partecipanti e un arrivederci alla prossima edizione dell’European Obesity Summit che si terrà dal 17 al 20 maggio 2017 a Porto.